CONTESTUALIZZAZIONE E DECONTESTUALIZZAZIONE IN ARTE
ven 7 marzo 2008
Uno
degli sviluppi dell’arte novecentesca, un vero e proprio filo
conduttore che ci permette di raccontarne la storia, è il progressivo
perdersi del “contesto” all’interno della rappresentazione, ed un suo
recupero all’esterno di essa.
Chiariamo il concetto con qualche esempio; Nell’arte prenovecentesca ogni soggetto, ogni figura dipinta, era inserita in uno spazio, in un ambiente, in una luce interna alla rappresentazione. L’ opera cioè non si limitava a rappresentare il soggetto isolandolo dal contesto, ma lo inseriva in un ambiente. Questa possiamo dire che è una delle caratteristice principali della pittura moderna, quella che va dal rinascimento ai primi del novecento. Tanto è che questo aspetto è in stretta relazione con la prospettiva, che fu scoperta e studiata proprio per l’ esigenza di inserire la figura in un contesto ambientale, così come esse ci appare sempre nella realtà del vedere quotidiano, da un punto di vista umano e personale, e non come sarebbero in sé, da un presunto punto di vista sovraumano ed impersonale.
Nel medioevo la prospettiva non era ignorata solo per incapacità tecnica; sarebbe una sottovalutazione troppo superficiale di un era che ha prodotto in campi quali poesia, filosofia, architettura, vette irraggiungibili. Semplicemente ai medievali la prospettiva interessava poco, così come interessava poco lo studio sperimentale della natura e la scienza, perché non era il punto di vista umano e la natura terrena ad attirare l’interesse degli ingegni di quell’epoca, ma il punto di vista divino e lo studio della teologia. Ecco che spesso le figure erano decontestualizzate o contornate da arabeschi o sfondi stellati, quasi si trovassero in uno spazio diverso da quello terreno, in uno spazio metafisico.
In compenso queste opere erano sempre inserite in contesti spaziali all’interno dei quali erano da considerarsi come un elemento inseparabile dal contesto; affreschi interni a chiese, etc.
La novità della modernità è che l’opera ha un suo spazio terreno, uno sguardo all’interno del quale tutte le sue figure si dispongono in un ordine prospettico, e con questo suo spazio interno essa prende autonomia dallo spazio esterno; diventa asportabile, ed esponibile in ogni luogo, in quanto non è un oggetto in uno spazio, ma essa stesso creazione di un suo spazio della rappresentazione. Di qui anche la cornice, che aveva il compito di dare compiutezza a questo sguardo, che non c’ era nel medioevo e che torna a sparire nell’arte novecentesca. La somiglianza tra arte del novecento e arte medioevale è stata più volte notata, ora voglio sottolineare anche la grande affinità filosofica tra le due epoche; il più influente filosofo del novecento, heidegger, riprende in qualche modo l’ antropologia cristiana, semplicemente privando l’ uomo di dio; Il novecento è una specie di medioevo senza dio.
Veniamo ora all’ aspetto artistico.: ricordo una riflessione di Sgarbi in cui diceva che l’arte rinascimentale e prerinascimentale rappresentano secondo un punto di vista ideale, quella da Caravaggio in poi, da un punto di vista umano, quella novecentesca da un punto di vista dell’inconscio e dell’interiorità; quindi le cose come sono in sé, le cose come sono nel mondo, le cose come sono nell’interiorità del soggetto. Ovviamente ci sarebbe molto da discutere su questo schema, ma esso ha il merito di cogliere un aspetto saliente; nel novecento si ripassa da un interesse per le cose e le persone inserite nel mondo e l’ambiente esterno e reale, ad un interesse per come loro si presentano all’interno dell’anima, questa volta non più l’anima divina, ma l’anima particolare del soggetto.
Questo significa che, di nuovo, oggetti e figure vengono decontestualizzate dallo spazio reale, ed inserite in uno spazio altro, oppure presentate isolate da ogni spazio. Questo significa decontestualizzare le figure; decontestualizzare o astrarre. L’ arte del novecento è tutta astratta, anche quando è figurativa, proprio per questa sua tendenza ad isolare le figure dallo spazio o ad inserirle in spazi immaginari, che per essenza sono astratti, dato che l’immaginazione, se non si foggia sul reale, è solo indice della separatezza angosciante del soggetto dal reale, cioè della sua astrattezza. Un soggetto isolato, infatti, è un soggetto astratto, dato che nei fatti ogni soggetto è sempre inserito in un mondo ed inseparabile da esso..
Quello che è da notare, e che più l’opera perde quello che è il suo spazio interno della rappresentazione, più ha bisogno di porsi come elemento dello spazio reale; di qui la dipendenza sempre più stretta dall’archittettura, proprio come nel medioevo.
I musei d’arte contemporanea, sono sempre più camere decorate e arredate in maniera particolare, cioè spazi reali riempiti con oggetti e colori, e sempre meno luoghi in cui vengono raccolte rappresentazione di spazi, cioè rotture dello spazio oggettivo, finestre di trascendenza.
Perché un’opera moderna è uno sguardo che apre uno spazio diverso da quello oggettivo, ma comunque uno sguardo, mentre l’opera contemporanea ha perso volutamente sempre più quest’aspetto, per aspirare sempre più a farsi oggetto tra gli oggetti dello spazio reale, che a questo punto diventa unico, oggettivo, intascendibile, angosciante e soffocante.
Anche i colori si fanno astratti, all’ attenzione alla luce ed alla tonalità, si passa all’ apprzzamento del colore puro e forte. Ma il colore puro e forte è un colore astratto, che esiste o nella nostra mente, o nei nostri tubetti di colori artificiali; i colori si giustappongono sempre più l’ uno all’ altro e si separano, si ipersaturano, laddove nell’ arte prenovecentesca si armonizzavano, si disponevano in scale cromatiche e tonali, così come di fatto si armonizzano nella visione concreta.
Lo stesso discorso vale per le forme, e per ogni altro aspetto della pittura. Ovunque la stessa tendenza alla decontestualizzazione, all’ isolamento, all’ astrazione.
condividi Chiariamo il concetto con qualche esempio; Nell’arte prenovecentesca ogni soggetto, ogni figura dipinta, era inserita in uno spazio, in un ambiente, in una luce interna alla rappresentazione. L’ opera cioè non si limitava a rappresentare il soggetto isolandolo dal contesto, ma lo inseriva in un ambiente. Questa possiamo dire che è una delle caratteristice principali della pittura moderna, quella che va dal rinascimento ai primi del novecento. Tanto è che questo aspetto è in stretta relazione con la prospettiva, che fu scoperta e studiata proprio per l’ esigenza di inserire la figura in un contesto ambientale, così come esse ci appare sempre nella realtà del vedere quotidiano, da un punto di vista umano e personale, e non come sarebbero in sé, da un presunto punto di vista sovraumano ed impersonale.
Nel medioevo la prospettiva non era ignorata solo per incapacità tecnica; sarebbe una sottovalutazione troppo superficiale di un era che ha prodotto in campi quali poesia, filosofia, architettura, vette irraggiungibili. Semplicemente ai medievali la prospettiva interessava poco, così come interessava poco lo studio sperimentale della natura e la scienza, perché non era il punto di vista umano e la natura terrena ad attirare l’interesse degli ingegni di quell’epoca, ma il punto di vista divino e lo studio della teologia. Ecco che spesso le figure erano decontestualizzate o contornate da arabeschi o sfondi stellati, quasi si trovassero in uno spazio diverso da quello terreno, in uno spazio metafisico.
In compenso queste opere erano sempre inserite in contesti spaziali all’interno dei quali erano da considerarsi come un elemento inseparabile dal contesto; affreschi interni a chiese, etc.
La novità della modernità è che l’opera ha un suo spazio terreno, uno sguardo all’interno del quale tutte le sue figure si dispongono in un ordine prospettico, e con questo suo spazio interno essa prende autonomia dallo spazio esterno; diventa asportabile, ed esponibile in ogni luogo, in quanto non è un oggetto in uno spazio, ma essa stesso creazione di un suo spazio della rappresentazione. Di qui anche la cornice, che aveva il compito di dare compiutezza a questo sguardo, che non c’ era nel medioevo e che torna a sparire nell’arte novecentesca. La somiglianza tra arte del novecento e arte medioevale è stata più volte notata, ora voglio sottolineare anche la grande affinità filosofica tra le due epoche; il più influente filosofo del novecento, heidegger, riprende in qualche modo l’ antropologia cristiana, semplicemente privando l’ uomo di dio; Il novecento è una specie di medioevo senza dio.
Veniamo ora all’ aspetto artistico.: ricordo una riflessione di Sgarbi in cui diceva che l’arte rinascimentale e prerinascimentale rappresentano secondo un punto di vista ideale, quella da Caravaggio in poi, da un punto di vista umano, quella novecentesca da un punto di vista dell’inconscio e dell’interiorità; quindi le cose come sono in sé, le cose come sono nel mondo, le cose come sono nell’interiorità del soggetto. Ovviamente ci sarebbe molto da discutere su questo schema, ma esso ha il merito di cogliere un aspetto saliente; nel novecento si ripassa da un interesse per le cose e le persone inserite nel mondo e l’ambiente esterno e reale, ad un interesse per come loro si presentano all’interno dell’anima, questa volta non più l’anima divina, ma l’anima particolare del soggetto.
Questo significa che, di nuovo, oggetti e figure vengono decontestualizzate dallo spazio reale, ed inserite in uno spazio altro, oppure presentate isolate da ogni spazio. Questo significa decontestualizzare le figure; decontestualizzare o astrarre. L’ arte del novecento è tutta astratta, anche quando è figurativa, proprio per questa sua tendenza ad isolare le figure dallo spazio o ad inserirle in spazi immaginari, che per essenza sono astratti, dato che l’immaginazione, se non si foggia sul reale, è solo indice della separatezza angosciante del soggetto dal reale, cioè della sua astrattezza. Un soggetto isolato, infatti, è un soggetto astratto, dato che nei fatti ogni soggetto è sempre inserito in un mondo ed inseparabile da esso..
Quello che è da notare, e che più l’opera perde quello che è il suo spazio interno della rappresentazione, più ha bisogno di porsi come elemento dello spazio reale; di qui la dipendenza sempre più stretta dall’archittettura, proprio come nel medioevo.
I musei d’arte contemporanea, sono sempre più camere decorate e arredate in maniera particolare, cioè spazi reali riempiti con oggetti e colori, e sempre meno luoghi in cui vengono raccolte rappresentazione di spazi, cioè rotture dello spazio oggettivo, finestre di trascendenza.
Perché un’opera moderna è uno sguardo che apre uno spazio diverso da quello oggettivo, ma comunque uno sguardo, mentre l’opera contemporanea ha perso volutamente sempre più quest’aspetto, per aspirare sempre più a farsi oggetto tra gli oggetti dello spazio reale, che a questo punto diventa unico, oggettivo, intascendibile, angosciante e soffocante.
Anche i colori si fanno astratti, all’ attenzione alla luce ed alla tonalità, si passa all’ apprzzamento del colore puro e forte. Ma il colore puro e forte è un colore astratto, che esiste o nella nostra mente, o nei nostri tubetti di colori artificiali; i colori si giustappongono sempre più l’ uno all’ altro e si separano, si ipersaturano, laddove nell’ arte prenovecentesca si armonizzavano, si disponevano in scale cromatiche e tonali, così come di fatto si armonizzano nella visione concreta.
Lo stesso discorso vale per le forme, e per ogni altro aspetto della pittura. Ovunque la stessa tendenza alla decontestualizzazione, all’ isolamento, all’ astrazione.
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"L’ arte del
novecento è tutta astratta, anche quando è figurativa, proprio per
questa sua tendenza ad isolare le figure dallo spazio o ad inserirle in
spazi immaginari, che per essenza sono astratti, dato che
l’immaginazione, se non si foggia sul reale, è solo indice della
separatezza angosciante del soggetto dal reale, cioè della sua
astrattezza"
Sono perfettamente d'accordo. Soprattuto sul fatto che l'arte contemporanea astrae il soggetto dall'oggettività reale per traslarlo in una dimensione che non è solo figurata ma sopratutto concettuale.
Si spezza quindi la catena rappresentativa del qualcosa, nel momento in cui quel qualcosa diventa "altro" e si pone "altrove" pur rimanendo in fondo se stesso. La trasformazione non è più effettuata dall'artista sulla tela (surrealismo, impressionismo, ecc) ma viene demandata al fruitore (nella sua più assoluta anarchia) attraverso la decontestualizzazione sia del soggetto elaborato, sia del supporto utilizzato, sia del luogo in cui viene mostrata.
L'Arte diventa quindi di tutti, non nell'accezione commerciale, ma nella possibilità dell'ingenuo e del pastore di poter trarre emozioni, significati, impulsi da ciò che stanno vivendo di fronte all'opera contemporanea.
La rinuncia alla "finestra" a favore del "frame", come proiezione di un percorso creativo solo momentaneamente depositato su quel muro o in quello spazio, ma coerente e continuativo nell'idea che si fa Arte.
Sono perfettamente d'accordo. Soprattuto sul fatto che l'arte contemporanea astrae il soggetto dall'oggettività reale per traslarlo in una dimensione che non è solo figurata ma sopratutto concettuale.
Si spezza quindi la catena rappresentativa del qualcosa, nel momento in cui quel qualcosa diventa "altro" e si pone "altrove" pur rimanendo in fondo se stesso. La trasformazione non è più effettuata dall'artista sulla tela (surrealismo, impressionismo, ecc) ma viene demandata al fruitore (nella sua più assoluta anarchia) attraverso la decontestualizzazione sia del soggetto elaborato, sia del supporto utilizzato, sia del luogo in cui viene mostrata.
L'Arte diventa quindi di tutti, non nell'accezione commerciale, ma nella possibilità dell'ingenuo e del pastore di poter trarre emozioni, significati, impulsi da ciò che stanno vivendo di fronte all'opera contemporanea.
La rinuncia alla "finestra" a favore del "frame", come proiezione di un percorso creativo solo momentaneamente depositato su quel muro o in quello spazio, ma coerente e continuativo nell'idea che si fa Arte.
Grazie mille Danilo, per aver prestato attenzione alle mie elucubrazioni!
Diciamo che condividiamo sostanzialmente l' analisi, ma poi divergiamo sulla sua valutazione.
Tu, mi pare, vivi con entusiamo gli sviluppi novecenteschi.
Io credo, ivece, che la riduzione dell' arte a frammento della realtà, sia stato uno sviluppo storico coerente, ma comunque una perdita per l' arte figurativa. La perdita della sua capacità di essere rappresentazione consapevolmente distinta e diversa dal reale, del quale invece l' arte "frame" si compiace di essere frammento.
Ma credo che si possa riuescire a creare una vera rottura dell'uidentità del reale, cioè una vera alterità, sulla quale poi fare leva per un eventuale cambiamento del reale stesso,
solo ripristinando la retta distinzione tra reale e rappresentazione.
Diciamo che condividiamo sostanzialmente l' analisi, ma poi divergiamo sulla sua valutazione.
Tu, mi pare, vivi con entusiamo gli sviluppi novecenteschi.
Io credo, ivece, che la riduzione dell' arte a frammento della realtà, sia stato uno sviluppo storico coerente, ma comunque una perdita per l' arte figurativa. La perdita della sua capacità di essere rappresentazione consapevolmente distinta e diversa dal reale, del quale invece l' arte "frame" si compiace di essere frammento.
Ma credo che si possa riuescire a creare una vera rottura dell'uidentità del reale, cioè una vera alterità, sulla quale poi fare leva per un eventuale cambiamento del reale stesso,
solo ripristinando la retta distinzione tra reale e rappresentazione.
Ma se mi dici che
anche l'arte figurativa è astrazione, che perdita pensi di aver avuto?
Della semplice rappresentazione realistica? della Metafisica dei corpi?
Dei cieli stellati o doarti delle icone?
Io penso l'arte come emanazione della realtà (è pur sempre un fatto umano) e quindi l'arte contemporanea non può che essere emanazione della realtà odierna che è fatta di "frame" enon di finestre. Chi sta più alla finestra a vedere passare il vicino?
L'arte figurativa, credo, debba oggi "figurare" non più le forme, ma i frame, le situazioni, il tempo. Non è una rinuncia allo spirito figurativo che è quello di adottare simboli omogenei alla realtà (corpi, volti, oggetti, ecc), è solo una modifica di concettualità nell'applicare quei simboli, modificati, estraniati, stravolti, ad una nuova sintassi che rimane però pur sempre figurativa. Una sorta di astrazione del figurato che adotti simboli noti ma che evada in altre forme comunicative ed altrove.
A me sembra un progresso delfigurativo, altro che rinuncia.
Io penso l'arte come emanazione della realtà (è pur sempre un fatto umano) e quindi l'arte contemporanea non può che essere emanazione della realtà odierna che è fatta di "frame" enon di finestre. Chi sta più alla finestra a vedere passare il vicino?
L'arte figurativa, credo, debba oggi "figurare" non più le forme, ma i frame, le situazioni, il tempo. Non è una rinuncia allo spirito figurativo che è quello di adottare simboli omogenei alla realtà (corpi, volti, oggetti, ecc), è solo una modifica di concettualità nell'applicare quei simboli, modificati, estraniati, stravolti, ad una nuova sintassi che rimane però pur sempre figurativa. Una sorta di astrazione del figurato che adotti simboli noti ma che evada in altre forme comunicative ed altrove.
A me sembra un progresso delfigurativo, altro che rinuncia.
intendevo altro.
Il figurativo contemporaneo estrapola le figure dal contesto in cui si presentano, in questo senso le astrae.
E' la perdità del contesto, che è appunto il limite, ma anche la definizione e l' "altro" del soggetto, che va perso nel figurativo contemporaneo.
Esempio; l' omino di haring non ha uno sfondo all' interno del quale si compenetra, quindi è una specie di "in sé", simbolico quanto si vuole, ma "in sé".
I mangiatori di patate di Van Gogh o i canottieri di Renoir stanno, invece, inseriti in un ambiente concreto, quindi non sono simbolo dell' essenza umana, metafisica, ma rappresentazioni dei uomini concreti nel loro ambiente, perché l' uomo concreto è sempre in un ambiente.
Quando una cosa si astrae dal suo contesto, si ipostatizza, e questa è metafisica.
Quando invece la si vede all' interno del tutto concreto di cui è parte, la si relativizza.
I frame dell' arte contemporanea si presentano come ipostasi, cioè come essenze separate, cose in sé, proprio perché non inserite in uno ambiente che le comprenda, ed in questo somigliano ai santi medioevali incastonati in cilei metafisici.
Mentre le figure dell' arte ottocentesca, ad esempio, erano solo una parte dell' intera composizione, una parte di un tutto, un vero "frame", consapevole di essere tale e senza pretesa all' ipostasi.
Il figurativo contemporaneo estrapola le figure dal contesto in cui si presentano, in questo senso le astrae.
E' la perdità del contesto, che è appunto il limite, ma anche la definizione e l' "altro" del soggetto, che va perso nel figurativo contemporaneo.
Esempio; l' omino di haring non ha uno sfondo all' interno del quale si compenetra, quindi è una specie di "in sé", simbolico quanto si vuole, ma "in sé".
I mangiatori di patate di Van Gogh o i canottieri di Renoir stanno, invece, inseriti in un ambiente concreto, quindi non sono simbolo dell' essenza umana, metafisica, ma rappresentazioni dei uomini concreti nel loro ambiente, perché l' uomo concreto è sempre in un ambiente.
Quando una cosa si astrae dal suo contesto, si ipostatizza, e questa è metafisica.
Quando invece la si vede all' interno del tutto concreto di cui è parte, la si relativizza.
I frame dell' arte contemporanea si presentano come ipostasi, cioè come essenze separate, cose in sé, proprio perché non inserite in uno ambiente che le comprenda, ed in questo somigliano ai santi medioevali incastonati in cilei metafisici.
Mentre le figure dell' arte ottocentesca, ad esempio, erano solo una parte dell' intera composizione, una parte di un tutto, un vero "frame", consapevole di essere tale e senza pretesa all' ipostasi.
Cioè siamo daccordo che oggi il figurativo deve occuparsi del frame e non di essenze metafisiche.
Ma io credo che il frame è tale se lo si inserisce in un contesto di cui è appunto frammento.
ma se lo presenti da solo, allora non è più frammento, ma diventa un qualcosa di sciolto dal suo ambinete, cioè, appunto, di assoluto; un ipostasi.
Ma io credo che il frame è tale se lo si inserisce in un contesto di cui è appunto frammento.
ma se lo presenti da solo, allora non è più frammento, ma diventa un qualcosa di sciolto dal suo ambinete, cioè, appunto, di assoluto; un ipostasi.
...è vero. I frame
devono essere inseriri in un contesto che è, come nel mio caso, un
progetto omogeneo in cui i vari frame dialogano. Il contesto si
ri-relativizza quindi non in senso iperrealista (il fiume dei
canottieri) ma in senso concettuale, come luogo invisibile ma cosciente
del progetto che si propone. Ripeto, la perdita del contesto non è una
perdita in senso stretto, perché i
canottieri su un fiume altro non possono rappresentare che dei vogatori.
I canottieri su un fondo bianco possono valere ben altri simboli
(forzati o no) e quindi la figurazione "aiuta" il fruitore ad entrare
più facilmente nel concetto, nell'idea, che sono elementi fondamentali
dell'arte contemporanea.
Tu fai delle belle cose a prima vista contestualizzate ma a ben vedere completamente astruse da certa figurazione descrittiva. Le tue figure sono come ritagliate, gli oggetti fermi ma in movimento, la solitudine dei tuoi soggetti rivela un "altrove" che la semplice contestualizzazione non vorrebbe dire, ma che per forza di cose trasla in tempi e luoghi che non sono lo sfondo contestuale dei tuoi soggetti, ma traggono da quel paesaggio la dinamica per recarsi laddove tu vuoi inconsciamente che si vada. O consciamente, non so. Il tuo cavallo messo di traverso è fermo. La contestualizzazione, in quanto rapporto con il soggetto, è inutile. Puoi ritagliare l'animale e attaccarlo su un fondo bianco o fucsia che l'idea non cambia. Il bimbo gioca o pesca, ma il movimento è un frame pur congelato. Ricordi Hopper, nella fissità dinamica dei movimenti e rimandi ad altro pur dipingendo scene assolutamente reali e contestualizzate.
Proprio tu parli di contesto? Proprio tu che sei il primo a rinnegarlo?
p.s.: se mi rispondi clicca su rispondi, altrimenti non so che l'hai fatto...
Tu fai delle belle cose a prima vista contestualizzate ma a ben vedere completamente astruse da certa figurazione descrittiva. Le tue figure sono come ritagliate, gli oggetti fermi ma in movimento, la solitudine dei tuoi soggetti rivela un "altrove" che la semplice contestualizzazione non vorrebbe dire, ma che per forza di cose trasla in tempi e luoghi che non sono lo sfondo contestuale dei tuoi soggetti, ma traggono da quel paesaggio la dinamica per recarsi laddove tu vuoi inconsciamente che si vada. O consciamente, non so. Il tuo cavallo messo di traverso è fermo. La contestualizzazione, in quanto rapporto con il soggetto, è inutile. Puoi ritagliare l'animale e attaccarlo su un fondo bianco o fucsia che l'idea non cambia. Il bimbo gioca o pesca, ma il movimento è un frame pur congelato. Ricordi Hopper, nella fissità dinamica dei movimenti e rimandi ad altro pur dipingendo scene assolutamente reali e contestualizzate.
Proprio tu parli di contesto? Proprio tu che sei il primo a rinnegarlo?
p.s.: se mi rispondi clicca su rispondi, altrimenti non so che l'hai fatto...
ok I contesti possone essere concettuali oltre che reali.
Hai visto nei miei lavori cose che francamante non avevo mai pensato di vederci, ma mi va bene, perché il bello dell' arte è che è una comunicazione imperfetta e quindi una più compiuta comunicazione, una comunicazione dove nascono idee e stimoli nuovi.
Francamente tra i contesti concettuali ed i contesti reali, preferisco questi ultimi, perché ritengo che il vero "altro" non siano il pensiero o il concetto, ma il mondo reale ed irriducibile e gli altrettanto irriducibili uominoi concreti che lo abitano; da questo punto di vista il mio riferimento filosofico è Totalità ed infinito di Immanuel Levìnas.
Hai visto nei miei lavori cose che francamante non avevo mai pensato di vederci, ma mi va bene, perché il bello dell' arte è che è una comunicazione imperfetta e quindi una più compiuta comunicazione, una comunicazione dove nascono idee e stimoli nuovi.
Francamente tra i contesti concettuali ed i contesti reali, preferisco questi ultimi, perché ritengo che il vero "altro" non siano il pensiero o il concetto, ma il mondo reale ed irriducibile e gli altrettanto irriducibili uominoi concreti che lo abitano; da questo punto di vista il mio riferimento filosofico è Totalità ed infinito di Immanuel Levìnas.
il mio invece è La Verità in Pittura, di jacques derrida...eheheh
ah bene
derridà è stato un grande ammiratore ed allievo di Levinas, mi fa piacere.
Senti tempo fa misi un blog che si chiamava la pittura e la differenza, dedicato proprio a Derridà, se ti interessa vallo a leggere, dovresti trovarlo tra i miei blog più vecchi.
derridà è stato un grande ammiratore ed allievo di Levinas, mi fa piacere.
Senti tempo fa misi un blog che si chiamava la pittura e la differenza, dedicato proprio a Derridà, se ti interessa vallo a leggere, dovresti trovarlo tra i miei blog più vecchi.
Sai "la verità in pittura" l' ho acquistato l' anno scorso, ma non l' ho ancora letto, appena lo faccio ne discutiamo!
Leggerò il libro di Derridà.
Ho letto la discussione e l'ho trovata di grande interesse.
Mi sento più vicina all'idea di Danilo.
Ho letto la discussione e l'ho trovata di grande interesse.
Mi sento più vicina all'idea di Danilo.
Si , adesso ho il libro qui davanti a me, salterò il primo capitolo, che semmai leggerò alla fine, e comincerò dal secondo!
Poi aprimao un Blog dedicato al libro, e ne discutiamo in tre! mi sembra una buona idea!
" Ripeto, la perdita
del contesto non è una perdita in senso stretto, perché i canottieri su
un fiume altro non possono rappresentare che dei vogatori. I canottieri
su un fondo bianco possono valere ben altri simboli (forzati o no) e
quindi la figurazione "aiuta" il fruitore ad entrare più facilmente nel
concetto, nell'idea, che sono elementi fondamentali dell'arte
contemporanea"
E' proprio questo Danilo il punto su cui divergiamo; scusa il ritardo della risposta, ma sai il pensiero come funziona: lavora piano come un tarlo a creare cunicoli e connessioni ed ha bisogno dei suoi tempi di decantazione.
Il tratto caratteristico dell' arte contemporanea è proprio quello di aver dimenticato i "semplici" vigatori, a favore dei vogatori in quanto simbolo di qualcos' altro.
Come a dire, il reale non vale nulla, ciò che interessa è solo il simbolo.
Ma cos' è simbolo?
Simbolo è ciò che rimada ad altro; è segno e metafora di altro.
L' arte contemporanea rivela, nel suo prediligere il simbolo alla realtà, il suo carattere religioso, di fuga dal mondo.
Quì mi ritorna in mente anche la questione dibattutta sul tuo blog tra valore d' uso e valore di scambio.
In arte come in economia oggi non ha valore l' oggetto nella sua realtà materiale, concreta, fruibile all' uomo in quanto essere sensibile, ma ciò che esso "rappresenta" sia in termini simbolici, che in termini di valore di scambio, cioè in termini economici.
In entrambi i processi il contenuto reale e sensibile viene risucchiato in qualcosa di astratto e di rappresentativo.
La Rappresentazione astratta sembra essere stato il destino del Novecento; i parlamenti che pretendono di rappresentare le volonta della maggioranza dei cittadini, il prezzo che pretenderebbe di rappresentare il valore di una maerce, il concetto scientifico che pretenderebbe di esaurire la realtà di una ente individuale, la rappresentazione simbolica in arte che pretenderebbe di essere più interessante della realtà concreta.
In questo l' arte contemporanea si dimostra appieno figlia del suo tempo; dell' era del capitalismo. Ha voglia a dimenarsi ed a fare l' alternativa, finché non recuopererà un contatto colla realtà concreta e sensibile, avrà le armi spuntate contro lo stesso, perché ne ha fatti propri i meccanismi più profondi.
Il corpo concreto, con i suoi dolori , la sua sofferenza, ma anche le sue gioie, sono il vero "altro" rispetto alla realtà tutta simbolica ed astratta del mondo in cui viviamo.
Ecco che un i canottieri di Renoir mi paiono più rivoluzionari, perché ci mettono in contatto con questo mondo sensibile che da ogni parte pretende di essere superato oggi, che non qualsiasi opera novecentesca.
L' arte non esprime il pensiero; il pensiero è solo un modo astratto e derivato di rapportarsi al mondo ed al reale.
L' arte esprime appunto il nostro modo profondo di rapportarci ad esso; e nel novecento il rapporto uomo-mondo è stato un rapporto di fuga, di rifiuto, si è preferito un astratto mondo di simboli e valori di scambio, e concetti, al concreto mondo fisico e materiale, con la sua ricchezza irriducibile e forse, quindi, insopportabile per noi uomini di oggi, col suo dolore e la sua morte, forse proprio per sfuggire ai quali si preferisce rifuggiarsi in un mondo di simboli.
Ma in un mondo di simboli, non si rifugge solo il dolore e la morte, ma anche la gioia a la vita.
Insomma il vero "altro" non è il pensiero o il concetto, anzi questi si caratterizzano proprio per il fatto che assimilano l' altro al sé; concetto non significa altro che cum-coepere, prendere assieme, al di là delle differenze. Socrate e Platone, che per primi rifletterono sul concetto e l' idea, lo caratterizzano proprio in questi termini; il concetto o l' idea di una cosa espime l' essenza comune tra tutte le cose che portano quel nome: la cavallinità esprime l' essanza in comune che hanno tutti i cavalli.
Ecco che il pensiero ed il concetto funzionano sul principio dell' esclusione delle differenze; queste appartengono ai singoli individui, che vengono snobbati da paltone proprio perché irriducibili all' universale.
La differenza appartiene agli individui; Levinas la colloca sul volto dell' altro; questo è il luogo di epifania dell' altro.
Dussel, che rilegge il socialismo in chiave levinnassiana, lo colloca nel lavoro vivo irriducibile al lavoro morto.
Io, sulla loro scia e su quella della tradizione italiana di Pareyson, Timpanaro, Colletti...etc, nella natura sensibile dell' uomo, che comprende dunque anche il suo ambiente.
Diverso è il caso di Derridà, invece, che sembra porre la differenza nell' assenza; ma di questo ne discuteremo a suo tempo, dopo che avrò letto "verità in pittura".
E' proprio questo Danilo il punto su cui divergiamo; scusa il ritardo della risposta, ma sai il pensiero come funziona: lavora piano come un tarlo a creare cunicoli e connessioni ed ha bisogno dei suoi tempi di decantazione.
Il tratto caratteristico dell' arte contemporanea è proprio quello di aver dimenticato i "semplici" vigatori, a favore dei vogatori in quanto simbolo di qualcos' altro.
Come a dire, il reale non vale nulla, ciò che interessa è solo il simbolo.
Ma cos' è simbolo?
Simbolo è ciò che rimada ad altro; è segno e metafora di altro.
L' arte contemporanea rivela, nel suo prediligere il simbolo alla realtà, il suo carattere religioso, di fuga dal mondo.
Quì mi ritorna in mente anche la questione dibattutta sul tuo blog tra valore d' uso e valore di scambio.
In arte come in economia oggi non ha valore l' oggetto nella sua realtà materiale, concreta, fruibile all' uomo in quanto essere sensibile, ma ciò che esso "rappresenta" sia in termini simbolici, che in termini di valore di scambio, cioè in termini economici.
In entrambi i processi il contenuto reale e sensibile viene risucchiato in qualcosa di astratto e di rappresentativo.
La Rappresentazione astratta sembra essere stato il destino del Novecento; i parlamenti che pretendono di rappresentare le volonta della maggioranza dei cittadini, il prezzo che pretenderebbe di rappresentare il valore di una maerce, il concetto scientifico che pretenderebbe di esaurire la realtà di una ente individuale, la rappresentazione simbolica in arte che pretenderebbe di essere più interessante della realtà concreta.
In questo l' arte contemporanea si dimostra appieno figlia del suo tempo; dell' era del capitalismo. Ha voglia a dimenarsi ed a fare l' alternativa, finché non recuopererà un contatto colla realtà concreta e sensibile, avrà le armi spuntate contro lo stesso, perché ne ha fatti propri i meccanismi più profondi.
Il corpo concreto, con i suoi dolori , la sua sofferenza, ma anche le sue gioie, sono il vero "altro" rispetto alla realtà tutta simbolica ed astratta del mondo in cui viviamo.
Ecco che un i canottieri di Renoir mi paiono più rivoluzionari, perché ci mettono in contatto con questo mondo sensibile che da ogni parte pretende di essere superato oggi, che non qualsiasi opera novecentesca.
L' arte non esprime il pensiero; il pensiero è solo un modo astratto e derivato di rapportarsi al mondo ed al reale.
L' arte esprime appunto il nostro modo profondo di rapportarci ad esso; e nel novecento il rapporto uomo-mondo è stato un rapporto di fuga, di rifiuto, si è preferito un astratto mondo di simboli e valori di scambio, e concetti, al concreto mondo fisico e materiale, con la sua ricchezza irriducibile e forse, quindi, insopportabile per noi uomini di oggi, col suo dolore e la sua morte, forse proprio per sfuggire ai quali si preferisce rifuggiarsi in un mondo di simboli.
Ma in un mondo di simboli, non si rifugge solo il dolore e la morte, ma anche la gioia a la vita.
Insomma il vero "altro" non è il pensiero o il concetto, anzi questi si caratterizzano proprio per il fatto che assimilano l' altro al sé; concetto non significa altro che cum-coepere, prendere assieme, al di là delle differenze. Socrate e Platone, che per primi rifletterono sul concetto e l' idea, lo caratterizzano proprio in questi termini; il concetto o l' idea di una cosa espime l' essenza comune tra tutte le cose che portano quel nome: la cavallinità esprime l' essanza in comune che hanno tutti i cavalli.
Ecco che il pensiero ed il concetto funzionano sul principio dell' esclusione delle differenze; queste appartengono ai singoli individui, che vengono snobbati da paltone proprio perché irriducibili all' universale.
La differenza appartiene agli individui; Levinas la colloca sul volto dell' altro; questo è il luogo di epifania dell' altro.
Dussel, che rilegge il socialismo in chiave levinnassiana, lo colloca nel lavoro vivo irriducibile al lavoro morto.
Io, sulla loro scia e su quella della tradizione italiana di Pareyson, Timpanaro, Colletti...etc, nella natura sensibile dell' uomo, che comprende dunque anche il suo ambiente.
Diverso è il caso di Derridà, invece, che sembra porre la differenza nell' assenza; ma di questo ne discuteremo a suo tempo, dopo che avrò letto "verità in pittura".
Cmq è un libro tosto che richiede pazienza ed un approccio tutto particolare, come sempre in derridà
...e infatti è
sull'assenza, o meglio, sulla presenza dell'assenza, che si fonda il
postmodernismo ermeneutico. Derrida non può essere considerato un
"costruttivo" ma un de-costruttivo in quanto de-riva la costituzione del
pensiero critico dall'osservazione "laterale" dei contesti concettuali,
arrivando a stravolgere completamente i sensi percepiti dei testi
scritti. La scrittura e il linguaggio, con prevalenza del linguaggio in
quanto la scrittura si perde nella "differenza" o meglio nella
"differance" come dice lui.
E' un testo criptico e scritto in modo che ogni volta che hai il coraggio di metterci su gli occhi, percepisci sensi diversi da ciò che leggi e quindi è esempio stesso dell'impossibilità di comunicare in modo univoco all'interno di sistemi di riferimento lessicali determinati.
Ritornando ai nostri vogatori è in effetti come dici tu.
Ma, mentre io lo vedo come passo avanti nella dialettica figurativa, tu lo vedi come perdita dell'essenza della figurazione arcaica.
In realtà è come dici tu: la figura perde il proprio ruolo descrittivo per assumerne altri. In un certo senso nega il motivo stesso per cui è nata diventando mero strumento speculativo per la descrizione di concetti e metafore (metonimie alora) che infine nulla hano a che fare (forse) con il soggetto fedelmente o no rappresentato.
E' vero. ma la domanda è: c'è bisogno ancora di una figurazione "descrittiva" nel momento in cui esiste la fotografia? Non a caso la neofigurazione di Cezanne, van Gogh, ma anche Picasso, Modigliani e poi a venire in qua, nasce contemporaneamente allo sviluppo della tecnica fotografica. In un certo senso si libera del fardello di dover per forza di cose rappresentare "canottieri e basta" per poter aspirare ad un diverso modo di utilizzare il soggetto ripreso. Perché considerarla una perdita? E perché mai dobbiamo pensare che l'una cosa abbia offuscato l'altra? Nessuno ha mai imposto ad alcunchì (specialmente nel XX secolo) di adottare simboli figurativi per esprimere metafore concettuali. E' venuto spontaneo, come spontanea evoluzione di un sistema pittorico ormai saturo. La descrizione del reale poi, ha continuato sempre ad esistere, anche negli iperrealisti, e non è considerata affatto meno degna del figurativo "astratto" o "concettuale". Perché mai? Ma perché mai pensare però che la rappresentazione reale e iperreale non siano essi stessi modi di fare concetto invece che "semplici" documenti descrittivi? Quando dipingi la munnezza così come la vedi, come una finestra aperta sui cassonetti, non fai anche tu un'operazione concettuale "mascherata" da testimonianza storica? la scelta stessa del soggetto è già un universo concettuale "assente" ma presente nella figurazione conseguente. Anche tu in fondo utilizzi la realtà per dire qualcosa d'altro, che è quindi altrove. Perché la munnezza e non un fiore o le onde del mare o i canottieri della Posillipo?
La storia dell'immagine non ha bisogno dei nostri quadri per testimonare i drammi. Ha le foto, i filmati i videotelefonini e quanto altro. YouTube assolve al compito di descrivere i canottieri che sudano e i muscoli che gonfiano. L'artista del duemila deve andare oltre. Purtroppo questo ci è richiesto. E l'andare altrove è sfociato nell'astrattismo.
Ma per noi poveri rappresentatori di realtà, il ruolo disegnatoci dall'evoluzione è quello ormai di "interpretazione" della realtà e forse di denuncia della stessa, attraverso le nostre idee e le nostre culture.
Poi, c'è chi continua a dipingere fiori, uccelli, zuppiere, visi e altro, cercando di farli il più possibile aderenti alla visualtà percepita.
Non è ciò che intendo per Arte. Ma è un mio umile pensiero che tocca solo me....
E' un testo criptico e scritto in modo che ogni volta che hai il coraggio di metterci su gli occhi, percepisci sensi diversi da ciò che leggi e quindi è esempio stesso dell'impossibilità di comunicare in modo univoco all'interno di sistemi di riferimento lessicali determinati.
Ritornando ai nostri vogatori è in effetti come dici tu.
Ma, mentre io lo vedo come passo avanti nella dialettica figurativa, tu lo vedi come perdita dell'essenza della figurazione arcaica.
In realtà è come dici tu: la figura perde il proprio ruolo descrittivo per assumerne altri. In un certo senso nega il motivo stesso per cui è nata diventando mero strumento speculativo per la descrizione di concetti e metafore (metonimie alora) che infine nulla hano a che fare (forse) con il soggetto fedelmente o no rappresentato.
E' vero. ma la domanda è: c'è bisogno ancora di una figurazione "descrittiva" nel momento in cui esiste la fotografia? Non a caso la neofigurazione di Cezanne, van Gogh, ma anche Picasso, Modigliani e poi a venire in qua, nasce contemporaneamente allo sviluppo della tecnica fotografica. In un certo senso si libera del fardello di dover per forza di cose rappresentare "canottieri e basta" per poter aspirare ad un diverso modo di utilizzare il soggetto ripreso. Perché considerarla una perdita? E perché mai dobbiamo pensare che l'una cosa abbia offuscato l'altra? Nessuno ha mai imposto ad alcunchì (specialmente nel XX secolo) di adottare simboli figurativi per esprimere metafore concettuali. E' venuto spontaneo, come spontanea evoluzione di un sistema pittorico ormai saturo. La descrizione del reale poi, ha continuato sempre ad esistere, anche negli iperrealisti, e non è considerata affatto meno degna del figurativo "astratto" o "concettuale". Perché mai? Ma perché mai pensare però che la rappresentazione reale e iperreale non siano essi stessi modi di fare concetto invece che "semplici" documenti descrittivi? Quando dipingi la munnezza così come la vedi, come una finestra aperta sui cassonetti, non fai anche tu un'operazione concettuale "mascherata" da testimonianza storica? la scelta stessa del soggetto è già un universo concettuale "assente" ma presente nella figurazione conseguente. Anche tu in fondo utilizzi la realtà per dire qualcosa d'altro, che è quindi altrove. Perché la munnezza e non un fiore o le onde del mare o i canottieri della Posillipo?
La storia dell'immagine non ha bisogno dei nostri quadri per testimonare i drammi. Ha le foto, i filmati i videotelefonini e quanto altro. YouTube assolve al compito di descrivere i canottieri che sudano e i muscoli che gonfiano. L'artista del duemila deve andare oltre. Purtroppo questo ci è richiesto. E l'andare altrove è sfociato nell'astrattismo.
Ma per noi poveri rappresentatori di realtà, il ruolo disegnatoci dall'evoluzione è quello ormai di "interpretazione" della realtà e forse di denuncia della stessa, attraverso le nostre idee e le nostre culture.
Poi, c'è chi continua a dipingere fiori, uccelli, zuppiere, visi e altro, cercando di farli il più possibile aderenti alla visualtà percepita.
Non è ciò che intendo per Arte. Ma è un mio umile pensiero che tocca solo me....
Quanto al fatto che anche nel figurativo ci sia pensiero, scelta, "politica", te lo scrissi io stesso in un tuo blog dove discutevi con Monica su tale questione.
Io non credo però che la fotografia o il video possano in tutto sostituire la pittura.
La pittura è tutt' altra cosa.
Essa esprime un rapporto che il soggetto ha col reale che la fotografia non può esprimere.
Tu te lo immagini un Van Gogh fotografo?
Ma anche un Renoir fotografo è impossibile.
Ogni medium ha i suoi caratteri specifici, come diceva mc Luhan, ed è insostituibile da parte di altri.
Piuttosto io collegherei il discorso decostuttivo che derridà avvia per la filosofia alla stotria dell' arte del novecento.
Questa è stata un grande smontatura di tutti gli aspetti dell' arte "classica". Ed è pre questo che il figurativo è stato messo da parte, ma non perché esso avesse esaurito la sua forza espressiva.
Difatto la pittura figurativa è continuata, anche se non ha catalizzato l' attenzione come invece facevano altre forme che man mano nascevano nel corso del secolo.
Però il pensiero postmoderno ci insegna a dubitare anche dello storicismo e dunque a rivedere gli sviluppi storici ed a recuperare ciò che la storia sembra aver trascurato.
In tal senso mi pare esemplare la poesia di montale sulla storia.
Quanto al libro di derridà sullaa verità in pittura ho letto i primi due capitoli, interessantissimi.
Ho pensato di comiciare a sciverne qulacosa su di un blog capitolo9 per capitolo, cos' ne possiamo discutere.
Cmq anche se divergiamo è un gran piacere discutere con te, perché sei rispettoso delle idee altrui e ti concentri sulle questioni e non sull' esibizione del sé come invece purtroppo spesso accade!
