In questo pomeriggio d’estate puteolana,sempre pregnante di odori sulfurei,garriti e stridii, simili a grida umane, di gabbiani e sommovimenti di una terra antica che oramai non incutono più tanta paura e che attendiamo quasi a confermare un’esistenza quotidiana tribolata eppure sempre amata,mi è capitato di indirizzare i miei pensieri su di un filosofo che si fa chiamare pittore e che corrisponde al nome di Ciro D’Alessio.La bottega dei suoi pensieri che relega nelle sue tele grandi ma sempre anguste per il suo genio artistico ed umano è incastonata come una pietra preziosa nel cuore antico di Dicearchia, nucleo primordiale,cuore pulsante che invia la sua linfa vitale in ogni direzione colpendo o meglio trafiggendo il viandante che esterrefatto viene abbagliato dalla luce che si scinde nelle sue componenti cromatiche per poi trovare nuova sintesi.La maggior parte di coloro che hanno conosciuto Ciro,anche attraverso le innumerevoli recensioni,sottolineano i colori delle sue opere,vivaci,fantasmagorici,invadenti e prepotenti.Nell’ultimo incontro che ebbi con lui recentemente gli espressi il desiderio o meglio l’onore di poter gettare qualche riga su di lui pur consapevole che già tanti altri fruitori della sua arte avessero scritto o recensito.In particolare,mi sono ritrovato a leggere una critica molto bella,pubblicata,se non erro,sul social network Facebook, che restituiva il senso di quest’uomo dal cappello di paglia e pervaso da una tranquillità serafica che avvolge,sconcerta ed accompagna in maniera virgiliana nei meandri della nostra psiche lìlettera dove i confini non esistono e si sostanzia la natura e l’origine del nostro genere umano.In Ciro il colore non è schiavo della forma né la forma deve riconoscere vincoli al colore.Pur essendo un filosofo del reale Ciro giuoca nell’inseguire il divenire incessante di colori e di forme ed in questo processo i colori accesi e stupefacenti non negano le forme bensì le fanno presagire come indizi che le anticipano per poi renderle appercepibili nelle nostre menti di fruitori ingordi ed insaziabili di emozioni a cascata.Ciro,partendo dal tratto figurativo lo supera per non esserne dipendente,abbozzandolo quel tanto che basta per impegnare la capacità costruttiva del guardante che opera una rappresentazione architettonica che diviene il completamento della pennellata o meglio della spatolata d’Alessiana.Questi due mondi o meglio queste due facce della medesima realtà si inseguono nella incessante benefica lotta di colore e forma quasi come avviene nelle tavole di Rorschach ove tutto è possibile partendo da un datur ben preciso.I quadri di D’Alessio come tavole diagnostiche colpiscono la nostra personalità destrutturandola per poi ricomporla su piani più alti lì dove la libertà è padrona scevra da compromessi e da inganni.Ciro è riuscito a completarsi come individuo per completare e definire noi tutti sempre alla ricerca di perché e mai di come.Il filosofo ricerca le motivazioni dell’essere mentre lo scienziato descrive semplicemente il come.Anche per essere filosofo Ciro punta in alto nella sua formazione,La filosofia è la madre di tutte le scienze al livello epistemologico e,quindi,gnoseologico.In altre parole,Ciro,attraverso le forme che si intravedono e che spesso si intuiscono nel tratto realizza questa fusione tra il mondo del perché e quello del come,fatto di mera descrizione.In sostanza, l’apoteosi è rappresentata proprio da questo connubio tra corpo e mente,tra la forma ed il colore,in una sorta di corsa ad ostacoli tra soma e psiche.Mi rendo conto di essermi calato nel cratere o meglio nelle bocche eruttive di Ciro e mi appresto ad affrontare la risalita in modalità dantesca,abbagliato dalla luce o dalle luci esplosive pronto a rimirare questa cittadina sempre troppo antica per essere compresa,fruita allo stesso modo di un’opera di D’Alessio, che non puoi possedere,comprare,commissionare,poiché essa è puro atto creativo,caotico,irritante ed irriverente ma che ti lascia una sensazione meravigliosa di amore che ti fa sorridere di felicità fin dal momento in cui si entra fino all’attimo che precede il commiato da quel buco delle meraviglie che ti appassionano,ti stordiscono,ti rapiscono e che ti legano vorticosamente per sempre in un attimo ad una persona che non conoscevi o che non ritenevi di conoscere poiché intrappolata dentro te e che ti ritrovi subito amica senza sovrastrutture difensive ed ipocrisie. Ciro D’Alessio è tutto ciò, tutto quello che mai credevi di poter rinvenire in un artista, mediante un’operazione archeologica di scavo stratificato in cui il tempo si contrae e si dilata,la forma scompare per poi riproporsi ed il colore diventa tessuto connettivo che cementa la vita. Domani vorrei portare questo pezzetto della mia anima,forse quella migliore,per confonderla con i pezzetti colorati e tratteggiati di quella del filosofo pittore, consapevole che le emozioni costruttive colmino ancora una volta in maniera straordinaria gli spazi vuoti della mente che attende,allo stesso modo che ho sottolineato quando ho esordito scrivendo dei moti tellurici che come un pendolo scandiscono il tempo, lo spazio e la relazione oggettuale. L’artista non è mai solo dal momento che chi guarda,tocca,annusa l’opera nella sua materialità diviene egli stesso artista o meglio coartista irretito benevolmente nell’operazione del divenire incessante che dona contenuto a colore e forma,nel processo in cui il pensiero diviene atto che partorisce l’opera. Da Ciro si ritrova il gusto di ricercare sperando di assaporare il bello allo stesso modo in cui ai miei tempi un bambino aspettava sempre “una cosa bella” da chiunque gli volesse bene. Io voglio bene a Ciro e mi aspetto sempre,detto in napoletano,na cosa bella.
Pozzuoli,4 agosto 2025 Riccardo Malfa