giovedì 17 aprile 2025

Hegel e la morte dell'arte vs l'irriducibilità della sensazione a linguaggio verbale come fondameto di un'arte pittorica autonoma.

 Parte integrante della quotidianità di un pittore, sono le riflessioni continue su quello che fa, sulle scelte fatte, sulla strada da seguire, etc. Queste riflessioni si incorporano nelle opere, nello stile, nei temi.

 Qui oggi, però, voglio esplicitarmi a parole e presentarvi una riflessione per me molto importante che mi accopagna ormai da decenni.

Riguarda la mia scelta di fare pittura ispirata alla esteriorità sensibile, in un tempo in cui tutti gli artisti più accreditati fanno altro, fanno concettuale, popart o streetart.

 In un suo video recentemente molto virale,  Massimo Cacciari ha parlato dell'importanza del concetto Hegeliano di "morte dell'arte", come fondamentale per capire ed aprirsi all' arte contemporanea. Come se l'artista contemporaneo avesse fatta propria la posizione hegeliana e quindi oggi fa un'arte che è molto diversa da quella del passato, che sarebbe morta; fa un' arte che è in realtà, pensiero, spinta al pensiero, "arte-pensante".

Hegel è il filosofo che ho più studiato e dal cui confronto ho formato le mie scelte e la mia personalità, più che da ogni altro.

 Cosa è la morte dell' arte per Hegel? L'arte per Hegel è la sintesi di universale e particolare, quindi è l' Assoluto, ma un Assoluto che si presenta in forma sensibile, ma la sensibilità per Hegel non è la forma propria e adeguata dell'Assoluto. La forma propria del Sapere Assoluto è la filosofia. Punto.  Dunque l'arte si invera nella filosofia. E' una filosofia che, fanciullescamente, anzicchè svilupparsi in concetti adeguatamente "mediati", si presenta sotto forma di immagine sensibile "immediata". Quindi per lui l'arte è una cosa morta, perché ormai ci sta la sua filosofia che ci presenta l'Assoluto in una forma ormai adeguata. 

 Se fosse vero che l'arte contemporanea segue questo sviluppo, gli artisti dovrebbero smettere di fare arte e fare filosofia, e la filosofia si fa con i concetti, i libri, i trattati, i confronti, i convegni, la dialettica, non si fa certo con tele,  colori, legni, cemento, luci al neon, non si fa certo ai vernissage mondani, alle case d'asta o nei musei di arte contempranea. Tutto quello che si può fare con questi elementi materiali e in questi luighi sono allusioni o vaghe illustrazioni di concetti filosofici, ma non concetti sviluppati, discussi, confrontati. Si rimanda ad un'altra materia la validità e la profondità di quanto si fa, fermo poi fermarsi sull' uscio di questa materia ed evitare di entrarvi a affrontarla con i suoi strumenti. Qui Hegel sarebbe molto duro e userebbe espressioni simili a quelle usate contro quelli che, parlando sempre di profondità, senza tematizzarla adeguartamente, si sciacquano solo la bocca con il profondo e poi lo sputano.

 E' ovvio che per Hegel il problema è la sensibilità, ciò che è sensibile, materiale, carnale, naturale, non può essere ''vero''. Vero e reale è solo lo Spirito che riassorbe in sé come suo momento, e supera, la Natura. In questo si inscrive nella tradizione dell' idealismo e dello spiritualismo, in buona compagnia, con Paltone, Plotino, Agostino, il cristianesimo, etc.

 Per la critica allo spiritualismo Hegeliano, vi invito a leggere "Il Marxsismo ed Hegel", di Lucio Colletti: un capolavoro assoluto di critica filosofica, un testo fondamentale per capire e criticare Hegel, Marx e un pezzo fondamentale di cultura novecentesca. 

Per quello che interessa me e le mie scelte artistiche, così diverse da quelli di tanti artisti contemporanei, fondamentale è capire perché Hegel prenda le distanze dalla sfera del sensibile.

 All'inizio della Fenomenologia la Coscienza si trova davanti alla Certezza Sensibile.

Ad occhi, orecchi e tutti i sensi aperti, l' "oggetto'' sensibile, la Natura che abbiamo davanti ci si presenta in tutta la sua ricchezza immediata, siamo immersi, abbagliati da questa richezza palpitante di sensazioni e ci sembra assolutamente vero e certo ciò che ci sta di fronte, o meglio, ciò in cui siamo immersi.

Eppure, dice Hegel, questa richezza è in realtà la più misera delle certezze. Nel MOMENTO IN CUI ANDIAMO A DIRLA CON IL LINGUGGIO, non riusciamo altro a dire che "questo", "questo albero", "questo sole", senza comunicare nulla di più, dando un'informazione poverissima al nostro interlocutore. Da questa impossibilità di dire con un linguaggio fatto di universali , un qualcosa di particolare che ci sta di fronte, parte tutto il percorso che porterà la coscienza a farsi autocoscienza, ragione, spirito, religione, arte, fino al Sapere Assoluto, cioè alla filosofia Hegeliana stessa pienamente dispiegata.

 Il difetto di Logocentrismo in questo primo passaggio, ad un lettore contemporaneo, ormai è evidente e lampante; la non dicibilità di una cosa, di una sensazione, non significa che queste  siano nulle, povere o indegne. ( In questo logocentrismo cade anche Croce; la natura esiste solo in quanto la studiano le scienze empiriche e la rappresentano i poeti o i pittori. La natura, al di là dello spirito umano, non è che indistinta confusione di vaghe sensazioni, indegna di ogni attenzione e del nome di realtà o verità).

 Ma è proprio questo scarto, questa inadeguatezza del linguaggio verbale di rendere la ricchezza della sensazione concreta, vissuta, a dare ad altre forme di comunicazione, non verbali, quali la pittura o la musica, una possibilità, un'autonomia ed una dignità.

 Da qui parte la mia ricerca pittorica.: come dare la giusta importanza a quella sensazione di stare immersi nel reale, con la sua richezza incontenibile di sensazioni. 

Ciro D’Alessio.