martedì 5 settembre 2023

entelechia vs simbolo

Entelechia vs simbolo


L'Entelechia ha il suo fine in sé, il simbolo in altro che gli sta dietro e di cui è immagine.
Poiché ho un concetto spropositatamente alto dell'arte, non posso che considerarla entelechia: ha il suo fine in sé, nulla di più alto e profondo le puo' donare valore e dignità.
Di contro nell'arte simbolica l'opera vale solo come immagine di qualcosa di più profondo che non è essa stessa. L'opera non vale di per sé.

Esempio: nella religione cristiana il singolo uomo ha valore in quanto persona, cioè immagine di Dio: è il Dio trascendente che dà valore a qualcosa che di per sé, se non fosse immagine, non ne avrebbe. Di contro si può considerare ogni individuo nella sua singolarità come entelechia, come avente il suo fine e il suo valore in se stesso, e non in quanto immagine di altro. Questa seconda concezione da molta più dignità  agli esseri e vale anche in contesti senza dio e post metafisici.

In questa seconda concezione il mondo si arricchisce all'infinito di infinite realtà dall'infinito valore. Un'ebbrezza di vita!

Invito a guardare le opere d'arte con la stessa concezione moderna, come entelechie e non come simboli.

Del resto il percorso storico dal medioevo al novecento e tutto un percorso di liberazione dell'arte dalle incrostazioni metaforiche e simboliche che si portava dietro dal medioevo, quando era ancella della teologia. L'arte per l'arte è il leitmotive dell'estetiche e delle poetiche fino al 900, quando poi si ritorna al simbolismo e  a una concezione ancillare dell'opera rispetto ai simboli, ai contenuti e ai concetti a cui alluderebbe. Si torna a una specie di medioevo.

venerdì 9 giugno 2023

L'arte si occupa solo del sublime...

 





Vi ricordate la disputa settecentesca sul bello e sul sublime? L'arte sarebbe forma, il sublime lo smisurato al di là della forma, quindi non alla portata dell'arte, che per natura sarebbe forma e porrebbe limiti.

Ebbene credo che l'arte si debba ( es mussen) occupare invece solo di sublime, tralasciando il bello, il finito, la forma.  E credo che di fatto già succeda sempre così nelle grandi opere d'arte. Quindi l' arte si occupa solo del sublime.

Perché nella natura dell'arte è trascendersi e aspirare a fare proprio ciò che le è impossibile. E' desiderio di infinito. Aspirazione al sublime. Chiudere l'infinito in una immagine sensibile, dicevano i filosofi idealisti. Ma l' infinito non si lascia chiudere. Solo se lo si lascia aperto, lo si può suggerire. Apertura, indefinito, incompiuto, schizzo, caos, non sono sintomi di svogliatezza, ma i soli modi che la rappresentazione ha per dire: badate che non stiamo rappresentando qualcosa, ma qualcosa di incompiuto, cioè il qualcosa più ciò che lo supera e trascende. Ma A unito a nonA, è proprio l' infinito: la dialettica del superamento del finito tramite la sua negazione...


domenica 1 gennaio 2023

Il piacere del riconoscimento e il piacere dello smarrimento.



Di fronte ad alcune opere d'arte si prova un piacere del riconoscere cose gia' conosciute. E' una delle prime e forse piu' elementari forme di piacere estetico. Ad esempio: il bimbo che riconosce la forma dell'albero o della casa, prova piacere in cio'. Il pescatore che riconosce i tratti del suo villaggio e critica il pittore se questi si è concesso qualche libertà. Ad un livello piu' raffinato, ci gratifica riconoscere stile, maniera, tecniche, citazioni, correnti, autori... E' il piacere del riconoscere nella rappresentazione cio' che e' noto: un piacere che da conferme e rassicura.
 
Ci sta anche un altro tipo di piacere estetico: mi pongo di fronte a un' opera e anzicche' riconoscere cose gia' note, mi smarrisco, perdo l'orientamento, brancolo nell'ignoto e nel nuovo. Mi lascio sommergere dalla calca delle sensazione e non so riportarle a nulla di definito. Alcuni rifuggono da questa  sensazione. Altri la amano. E' la sensazione dell'ignoto, del nuovo, dell'infinito, del "naufragar mi e' dolce in questo mare.".

Ciro D'Alessio.