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Un giorno di sole terso ed aria fresca, andai a dipingere all'aperto col mio maestro ed ebbi occasione di fare nuove e per me fondamentali scoperte sulla natura intima della pittura, della musica, della bellezza e dell' universo intero.
Ovviamente il mio cervello non riuscì a digerire tanta sovrabbondanza di input in una sola volta e, come al solito, andò in tilt e si ritrovò in preda ad una meravigliosa confusione. Solo con gli anni, col duro lavoro, la pratica, la riflessione, tanto studio, e ritornando spesso a rimeditare su quella giornata così intensa, esso poi è riuscito ad afferrare, credo, qualcosa.
Ovviamente il mio cervello non riuscì a digerire tanta sovrabbondanza di input in una sola volta e, come al solito, andò in tilt e si ritrovò in preda ad una meravigliosa confusione. Solo con gli anni, col duro lavoro, la pratica, la riflessione, tanto studio, e ritornando spesso a rimeditare su quella giornata così intensa, esso poi è riuscito ad afferrare, credo, qualcosa.
Era passato qualche anno da quando eravamo andati a dipingere i cavoli, ed ebbi quella magnifica lezione sul valore delle cose, sui simboli e sul loro rapporto, etc.
Adesso la ricerca del maestro non si concentrava sulle cose, ma su un qualcosa di indefinito, un' energia, una sensazione, non saprei, un qualcosa di indefinito che lui diceva precedere ed essere più primitivo delle cose. Un qualcosa di primigenio.
Perché andasse ancora a dipingere per i campi, quando non dipingeva più cavoli, ne alberi, né colline né mare, non mi era molto chiaro. Perché tanta fatica per fare delle macchie? Perché non farle nel suo comodo e luminoso studio, ascoltando buona musica, sorbendo caffè ogni tanto, sigari, io, non lui, andato un po' sui socialnetwork? :)
Adesso la ricerca del maestro non si concentrava sulle cose, ma su un qualcosa di indefinito, un' energia, una sensazione, non saprei, un qualcosa di indefinito che lui diceva precedere ed essere più primitivo delle cose. Un qualcosa di primigenio.
Perché andasse ancora a dipingere per i campi, quando non dipingeva più cavoli, ne alberi, né colline né mare, non mi era molto chiaro. Perché tanta fatica per fare delle macchie? Perché non farle nel suo comodo e luminoso studio, ascoltando buona musica, sorbendo caffè ogni tanto, sigari, io, non lui, andato un po' sui socialnetwork? :)
"Non si tratta mica di dipingere la cosa astratta dalla natura, come potrebbe essere una natura morta, un fiore o un frutto sottratti al loro stelo ed al loro albero, al loro campo ed alla loro luce, non si tratta neanche di dipingere un simbolo, che segue analoghi, anche se più spinti processi di astrazione. Quello che cerchiamo- parlava al plurale considerandomi completamente coinvolto nella sua ricerca, come fossimo un team- è la cosa prima della natura, o meglio, la natura prima delle cose: quel qualcosa della natura che va al di là delle cose e le sottende tutte, se mai vi dovesse essere... Non quindi andare in direzione dell' astrazione, che è un movimento post-rem, un impoverimento della cosa, che prima viene sottratta al suo ambiente, poi ridotta a immagine, e spogliata della sua materia, poi a contorno e privata del suo colore, poi a simbolo, quindi a mera funzione mentale, quando non c' è più molto da sottrarre per arrivare al nulla...
Non è il vuoto che cerchiamo, ma il pieno, non il buio della mente, ma la luce albeggiante dell epifania del reale, il mistero della natura generatrice. Per trovare le sue tracce dobbiamo ovviamente non solo stare in mezzo alla natura, ma cercare di viverla, di sintonizzarci con le sue onde profonde.."
Non è il vuoto che cerchiamo, ma il pieno, non il buio della mente, ma la luce albeggiante dell epifania del reale, il mistero della natura generatrice. Per trovare le sue tracce dobbiamo ovviamente non solo stare in mezzo alla natura, ma cercare di viverla, di sintonizzarci con le sue onde profonde.."
Grande perplessità ovviamente sul mio viso. Annuivo fingendo di comprendere, in realtà le parole le comprendevo. Come si concatenavano tra di loro non mi era del tutto chiaro. sigh. Nel frattempo aprivamo i cavalletti, prendevamo i pigmenti e i tubetti di colore, l'olio di lino col suo profumo grasso ma naturale che giocava a confondersi ed a distinguersi dai profumi della primissima primavera nell'aria frizzante e fresca. Non usavamo diluenti né acque ragie, pennelli ormai non ne usavamo più, almeno non con l'olio, solo spatola, e la ripulivamo con un semplice straccio, a volte anche con un po' di carta da cucina.
Il mio apprendistato funzionava così, io dipingevo per i fatti miei, il maestro per i suoi. Solo alla fine vedevamo i nostri reciproci risultati.
E così mi misi a dipingere questo campicello in parte assolato, in parte ombreggiato, cercando di mettere a punto tutto quel che sapevo della pittura, cercando di far rivivere sulla tela, tramite la pasta colorata, quel caldo dei gialli, quel fresco degli azzurri, la delicatezza delle ombre. Molta attenzione prestavo ormai a mettere i colori in scala cromatica che andava dagli azzurri e violetti più lontani, ai rossi e gialli più vicini. Ritenevo che la bellezza fosse lì fuori, e mi impegnavo a coglierla, non usavo colori esageratamente forti, perché non mi sembrava che vi fossero fuori. Tutto era così straordinariamente accordato nei colori natura, tutto così in armonia col resto, nulla che volesse «far parte a sé» ed isolarsi e mettersi a dispetto, in dissonanza col tutto. Mi sembrava davvero l'immagine del paradiso. Se solo la stessa armonia si riuscisse a realizzarla anche tra gli uomini! E così feci il mio quadretto. I primi piani li chiusi, più che con gialli e rossi, che non vedevo in natura, con terre di siena ed ocre, colori caldi, ma più tenui, più vicini alla delicatezza della natura.
Per tentare di cogliere la natura primigenia, avevo cercato di dar un po' di movimento alle
cose: movimento e illusione dello scorrere del tempo. Non è il movimento quel fiume inesorabile che trascina con sé tutto, quel magma dal quale le cose nascono, se ne distaccano per un attimo venendo a galla, per poi ridisciogliersi in esso?
Quindi sfumature, nebbioline, vibrazioni cromatiche.
Per tentare di cogliere la natura primigenia, avevo cercato di dar un po' di movimento alle
cose: movimento e illusione dello scorrere del tempo. Non è il movimento quel fiume inesorabile che trascina con sé tutto, quel magma dal quale le cose nascono, se ne distaccano per un attimo venendo a galla, per poi ridisciogliersi in esso?
Quindi sfumature, nebbioline, vibrazioni cromatiche.
Soddisfatto mi misi a ripulire le spatole e ad aspettare che il maestro finisse il suo per confrontarceli. Un po' di curiosità mista ad ansia.
«Ho colto la natura primigenia, maestro?»
«Forse sì, ci hai provato almeno. Guarda come ci ho provato io». E mi mostrò la sua tela.
Nulla che sembrasse un albero, nulla che sembrasse un ombra, né cielo, né fiori o erbe, non tronchi. Solo macchie informi, nessun rametto, ed io che mi ero affaticato a tracciarli e poi sfumarli, nessuna sfumatura, eppure tutto si muoveva in quel dipinto, in secondo piano della macchie azzurre e viola, che corrispondevano al mio cielo, poi qualcosa di scuro, immagino le creste ombrose degli alberi, e poi da lì in giù un rapidissimo crescendo verso i primi piani di rossi e gialli, man mano sempre più forti. Il dipinto era complessivamente più scuro del mio, questo, capii poi, consentiva al maestro di usare i gialli ed i rossi forti in funzione di luce e di poterli calare nella composizione squillando, ma non stonando.
«Le trombe dorate della solarità» non poteva non venirmi in mente il celebre verso conclusivo della canzone di Montale.
Nulla che sembrasse un albero, nulla che sembrasse un ombra, né cielo, né fiori o erbe, non tronchi. Solo macchie informi, nessun rametto, ed io che mi ero affaticato a tracciarli e poi sfumarli, nessuna sfumatura, eppure tutto si muoveva in quel dipinto, in secondo piano della macchie azzurre e viola, che corrispondevano al mio cielo, poi qualcosa di scuro, immagino le creste ombrose degli alberi, e poi da lì in giù un rapidissimo crescendo verso i primi piani di rossi e gialli, man mano sempre più forti. Il dipinto era complessivamente più scuro del mio, questo, capii poi, consentiva al maestro di usare i gialli ed i rossi forti in funzione di luce e di poterli calare nella composizione squillando, ma non stonando.
«Le trombe dorate della solarità» non poteva non venirmi in mente il celebre verso conclusivo della canzone di Montale.
«Maestro è riuscito a cogliere la natura primigenia delle cose in questo dipinto?»
«Non so, ma ci ho provato. E la strada che ho preso per provarci è un po' diversa dalla tua.
Tu hai rappresentato il paesaggio con i suoi rami, le sue nubi, i suoi fiori illuminati e le loro ombre, io ho cercato di cogliere ciò che mi trasmetteva vibrazioni, ciò che mi piaceva di tutto questo, omettendo le forme, come puoi vedere le luci ci sono lo stesso, più forti, perché meno legate al loro ruolo descrittivo, le ombre ci sono, soprattutto ci sono i passaggi intermedi, le mezze tinte, quelle che legano il tutto e danno armonia. Ho pensato che queste onde cromatiche che ci provengono dal paesaggio siano il mistero a fondo della natura primigenia. Natura primigenia comune a noi ed a loro e quindi per noi generatrice di quel piacere che starebbe nel fondo del il mistero della bellezza. Ovviamente potrei sbagliarmi, ma questo ho provato a fare». «Ho pensato che forse quando la nostra natura profonda incontra la natura profonda di queste cose, le rispettive onde cominciano a mettersi in rapporti armonici tra di loro, non ad accavallarsi in maniera confusa, ma a risuonare insieme, e questa potrebbe essere forse la natura del mistero della bellezza. Queste onde ci sono date dal paesaggio, ma anche dai colori, e con i colori, anzi, possiamo quasi estrarre la bellezza, il motivo della bellezza del paesaggio e riproporlo. Potrei farti provare la sensazione di pace e di bellezza che proveresti davanti al paesaggio, presentandoti solo alcune macchie, suggeritimi da impulsi che ho preso dal paesaggio ed ho trasformato in colore.»
«Non so, ma ci ho provato. E la strada che ho preso per provarci è un po' diversa dalla tua.
Tu hai rappresentato il paesaggio con i suoi rami, le sue nubi, i suoi fiori illuminati e le loro ombre, io ho cercato di cogliere ciò che mi trasmetteva vibrazioni, ciò che mi piaceva di tutto questo, omettendo le forme, come puoi vedere le luci ci sono lo stesso, più forti, perché meno legate al loro ruolo descrittivo, le ombre ci sono, soprattutto ci sono i passaggi intermedi, le mezze tinte, quelle che legano il tutto e danno armonia. Ho pensato che queste onde cromatiche che ci provengono dal paesaggio siano il mistero a fondo della natura primigenia. Natura primigenia comune a noi ed a loro e quindi per noi generatrice di quel piacere che starebbe nel fondo del il mistero della bellezza. Ovviamente potrei sbagliarmi, ma questo ho provato a fare». «Ho pensato che forse quando la nostra natura profonda incontra la natura profonda di queste cose, le rispettive onde cominciano a mettersi in rapporti armonici tra di loro, non ad accavallarsi in maniera confusa, ma a risuonare insieme, e questa potrebbe essere forse la natura del mistero della bellezza. Queste onde ci sono date dal paesaggio, ma anche dai colori, e con i colori, anzi, possiamo quasi estrarre la bellezza, il motivo della bellezza del paesaggio e riproporlo. Potrei farti provare la sensazione di pace e di bellezza che proveresti davanti al paesaggio, presentandoti solo alcune macchie, suggeritimi da impulsi che ho preso dal paesaggio ed ho trasformato in colore.»
Sempre più confuso, annuivo, ma non capivo a fondo.
Poi mi misi a osservare alcune macchie azzurre e violette che stavano in primo piano nel suo dipinto, contrariamente alle regole della prospettiva atmosferica che così bene avevo apprese e che cercavo di mettere diligentemente in pratica. Eppure quelle macchie stavano da dio nel dipinto, ma non riuscivo a capire perché.
«Maestro, queste macchie?»
«Posso mettere un paio di spatolate, solo due, sul tuo dipinto?»
« Mah... certo, ne sarei onorato» in realtà ne ero umiliato, era come farsi dire che il mio lavoro andava corretto, ma non avevo il coraggio di dire no!
«Solo due tocchi leggeri, che ti aiuteranno a capire il mistero delle macchie azzurre e violette». Poi se non ti piace, cancelliamo e tutto ritorna come è.
Incredibile la sua capacità di concepire la pittura come un regno dove nulla è irreversibile. Nell'universo della pittura lui era Dio, poteva non solo creare ma anche cancellare ogni errore e ritornare al punto di partenza, andare al di là delle leggi del tempo e dell' entropia. Poteva ritornare dalla frittata all'uovo. Questo mi riempiva sempre di stupore. Per me ogni passo era meditato e sofferto come si medita e si soffre quando ci si accinge a qualcosa di cruciale ed irreversibile, da cui non si può più tornare indietro. Io non sapevo rifare l' uovo dalla frittata, nella pittura non ero Dio, ma solo un uomo, non avevo raggiunto quel grado di libertà e sicurezza estrema, quella giocosità e leggerezza da danzatore del mio maestro.
Incredibile la sua capacità di concepire la pittura come un regno dove nulla è irreversibile. Nell'universo della pittura lui era Dio, poteva non solo creare ma anche cancellare ogni errore e ritornare al punto di partenza, andare al di là delle leggi del tempo e dell' entropia. Poteva ritornare dalla frittata all'uovo. Questo mi riempiva sempre di stupore. Per me ogni passo era meditato e sofferto come si medita e si soffre quando ci si accinge a qualcosa di cruciale ed irreversibile, da cui non si può più tornare indietro. Io non sapevo rifare l' uovo dalla frittata, nella pittura non ero Dio, ma solo un uomo, non avevo raggiunto quel grado di libertà e sicurezza estrema, quella giocosità e leggerezza da danzatore del mio maestro.
Afferrò quindi la spatola, andò sulla mia stessa tavolozza non ancora ripulita, e mescolò tra di loro alcuni impasti di colore che vi erano rimasti e ne fece un grigio caldo, anche un po' sporco direi. Poi vi aggiunse un po' di lacca rossastra ed un po' di blu oltremare e quel grigio si rischiarì e ripulì come quando il cielo rasserena dopo il grigiore cupo di un temporale. Raccolse con la spatola e con grande leggerezza diede un colpo legger di quest' azzurrino sul tronco del mio albero. Ritornò rapidamente alla mescola, vi aggiunse ancora un po' di lacca ed un pochino di celeste e diede un a spatolata decisa in primo piano, tra le ombre e le luci del campo fiorito.
«Bene, ecco fatto, dimmi se ti piace»
In effetti mi piaceva molto di più.
« Adesso il tuo paesaggio respira ed è concluso»
« Adesso il tuo paesaggio respira ed è concluso»
Ed era così, sempre più pieno di stupore ma anche di angoscia per quel tantissimo che ancora non sapevo della pittura.
«Vedi, tu cominci a dipingere partendo dal cielo, dal suo violetto, poi man mano te ne vieni avanti aggiungendo nella mescola iniziale varie quantità di gialli e rossi, così come ti ho insegnato. E fai benissimo, ma ogni tanto, devi ricordare a chi contempla il tuo dipinto, dove è cominciato tutto, e quindi riproporre, in maniera non uguale, ma sempre diversa, la tonalità fondamentale da cui sei partito, ed infine, nel primissimo paiano, insieme ai colori più squillanti, deve ritornare anche questo tono di fondo.»
Solo così farai un opera che davvero darà piacere, no so perché questa ripetizione dia piacere, ma così è nella nostra musica, dove la nota tonale apre la composizione, ritorna, viene richiamata dalla sua dominante con cui sta in rapporto di armonia e dalla sua sensibile ed infine chiude la composizione. Così è la bellezza in musica e così è nella pittura e forse così è la bellezza dell' universo. Forse questo movimento che ritorna su sé stesso, mai uguale a prima, questa spirale cosmica, è il modo fondamentale di muoversi e funzionare dell' universo. Vi sono studiosi che lo affermano. Io non so, ma potrebbe essere ed in qualche modo lo sento»
E così da allora anche io cominciai a mettere macchie azzurre e violette, sempre diverse, nei piani intermedi e nei primi piani.
Ciro D'Alessio