venerdì 21 maggio 2010

Mercatino dell' usato


Finalmente fuori dall grande mercato
di diecimila esemplarei tutti uguali,
finalmete furoi dal grande mercato
della pubblicità e delle cose nuove,
cominci a vivere la tua vita terrena,
o libro,

Solo ora sei un vero individuo,
solo ora hai una storia tutta tua,
di sottolineature a matita e note a margine,
spiegazzature, ferite di ore a discutere con te,
macchie di caffè...

E solo ora tu vai sposo a chi ti cerca
perchè ti ama, te elegge solo tra tanti,
oh felice e non sperato incontro,
e non più ti aggiunge al carrello dei cascanti oggetti superflui.

Ciro D'Alessio

Il mercato capitalistico si basa sui nostri bisogni, si nutre di essi, li moltiplica, li crea per poi soddisfarli, crescendo e riproducendosi.
Non è insensato dire che uno dei modi di reagire al condizionamento del potere del mercato su di noi, è imparare a gestire i nostri bisogni.
Chi riesce a controllare i propri bisogni oggi è più libero di chi non vi riesce.
Certamente i bisogni non sono qualcosa di cui si possa fare a meno.
Essi sono la vita stessa e rinunciarvi significherebbe rinunciare alla vita o rinunciare a viverla in pienezza e gioia, costringendosi ad un ascetismo mortificante.
Una cosa però possiamo fare, possiamo cercare di non lascirceli imporre.
Chi dice che si debba andare in viaggio ad agosto in determinati posti?
Chi dice che si debbano vestire determinate marche? Chi dice che è figo girare con l’ auto ultimo modello? Mangiare i cereali a colazione e vedersi l’ ultimo film uscito da Hollywood? Seguire l’ ultimo artista proposto alla Biennale od al Guggenheim?
Sono bisogni nostri questi, o ci sono stati suggeriti da altri in modo del tutto interessato?
“Sapere Aude“, diceva Kant. Si tratterebbe di aggiungere “desiderare aude”. Non lasciare che una altro decida per te cosa è desiderabile per te.
Dopo tutto tu sei il padrone dei tuoi desideri ancor più di quanto non lo sia dei tuoi pensieri. E se eserciti in pienezza ed autonomia questa tua facoltà desiderante, cessi di essere il suddito che serve ed alimenta il mercato, e diventi più libero.

Oggi l’ arte dovrebbe insegnare a desiderare altrimenti da come ci insegna la pubblicità. Non fuggire dal mondo, perché questo è divenuto oggetto di contesa del mercato, ma riprendersi il mondo e spurgarlo del suo carattere di oggetto in vendita.
Non abbiamo intenzione di rinunciare a dipingere uomini che saltano la staccionata, solo perché una ditta di olio si è impossessata di questa immagine a fini pubblicitari. Noi ce la riprendiamo, la spurghiamo da ogni finalità pubblicitaria, e la presentiamo così. Saltare le staccionate è un gesto spontaneo, un bisogno genuino, che esprime la nostra vitalità, che non alimenta nessun commercio, almeno finché non si creerà una organizzazione olimpica di salto alla staccionata, ed è uno di quei bisogni liberi dal mercato che intendiamo contrapporre a quelli del mercato.
E così pigliarsi il sole fuori casa, invece che alle Maldive, godersi le erbaccie selvatiche ( cosa giustamente proibita nel "Brave New World" di Huxley in quanto bisogno che, pericolosamente, non alimenta l’economia) giocare in uno spazio verde qualsiasi, fare i tuffi dagli scogli accidentati invece che dai trampolini dei villaggi tropicali, giocare a semplici carte con gli amici, raccontarsi barzellette, giocherellare tra bambini, salire su di un albero, leggersi un libro vecchio al sole…
Sono tutti bisogni sui quali il grande business ha poca presa, perché ciò che li soddisfa costa poco, è a portata di mano. Ecco che cercano di convincerci che il vero sole lo prendi nei megavillaggi tropicali, che lo skyline di una grande metropoli per visitare la quale si alimenta un grande business è un esperienza da non potersi perdere, che senza telefonino non ci si diverte e non si hanno amici, che è assolutamente da vedere il film con gli ultimi effetti speciali, altro che vecchia letteratura, che insomma, cioè che non è pagato, non vale la pena!

Spesso l’ arte del novecento, volendo fuggire il mercato, ha rifuggito il bisogno, il mondo e la vita stessa, facendosi gioco intelletualistico, esangue.
Ma rinunciando del tutto a proporre essa bisogni e desideri, li ha del tutto lasciati in mano al mercato, ritirandosi nell’ oasi esoterica dell’ intellettualismo, ormai territorio neutrale perché vi si può dire quello che si vuole continuando a consumare, facendo così un grande favore al mercato unico foggiatore di bisogni.
Il grande capitalismo favorisce l’ arte e la cultura elitarie, lontane dai territori del bisogno, del corpo, della materia, perché così è libera di spadroneggiare in essi e con la cosicenza a posto per giunta, perché ci si è ammantati di una cultura che nulla può sull’ aspetto più profondo ed al tempo stesso più economicamente rilevante dell’ uomo.

L’ arte e la cultura devono ricominciare a parlare del mondo, altrimenti rimangono un giochetto indifferente per soli appassionati, come i giochi enigmistici, e per di più ammantano di cultura le grandi aziende che capitalizzano il mondo e guidano e schiacciano le nostre esistenze.
Ormai dobbiamo prendere le distanze dalla mimesi negativa di Adorno. L’ arte che si rifiuta di comunicare, si ritira da sola nell’ impotenza, nel nulla.
Non protesta in realtà contro la società, ma contro la vita stessa.
In Adorno c’ è purtroppo questa confusione, ricorrente in molti marxisti; essi confondono la critica al capitalismo con la critica alla vita in quanto tale; ed è questo rifiuto della vita in quanto tale, rilevato magistralmente da Colletti, che poi condiziona la sua teoria estetica, facendogli rigettare ogni forma d’ arte che non esprima essa stesso questo rifiuto di vivere.

Ricominciare a parlare del mondo, significa ricominciare a trasmettere desideri. Ormai è chiaro che il desiderio è la parte più profonda ed al tempo stesso più concreta, economica, della nostra vita.

Ciro D'Alessio